Neppure la forma costituisce elemento discriminante per la definizione delle caratteristiche della pipa chioggiotta. Le forme realizzate dai pipari sono state infatti quanto mai varie e legate, nella loro mutazione, ad avvenimenti di diversa natura, che avevano tuttavia capacità di incidere profondamente nella fantasia popolare. Il discorso delle forme si lega poi al contesto più vasto ed interessante degli scambi economici e culturali che sicuramente esistettero tra Chioggia al tempo della Repubblica Veneta e poi, durante la dominazione austriaca, ed altri centri di produzione anche assai distanti dalle rive dell'Adriatico. La lavorazione dell'argilla per trarne delle pipe era praticata un po' dovunque in Italia. Pipe di buona fattura e di ottima qualità sono state fabbricate in Romagna (la già ricordata Faenza), in Toscana, nel Meridione (le pipe napoletane), negli Abruzzi, in Sardegna ed in Sicilia, dove ancora si continua a fabbricarne sia pure a livello di souvenir. Tra tutti questi centri è indubbio si sia esercitata reciproca influenza nell'inventiva delle varie raffigurazioni e, ma forse un po' meno, dei procedimenti tecnici seguiti dai pipari. Per quanto riguarda Chioggia va ricordata la sua vicinanza con un grande centro di produzione, quello di Bassano, il quale includendo nella sua già cospicua produzione anche quella delle pipe chioggiotte determina probabilmente il decadere di questa attività a Chioggia, dove peraltro ancora in pieno Novecento esistevano ed erano particolarmente attive due fabbriche, una in Calle Vescovi e l'altra, nella quale operava il piparo Luigi Padoan, in Calle Fattorini. Queste due botteghe sono le uniche di cui sia rimasta documentazione certa. Un primo elemento utile per l'identificazione della pipa chioggiotta è rappresentato dai fori che mettono in comunicazione il fornello con il tubicino portacanna. Le pipe in terracotta hanno generalmente un unico foro come si può facilmente riscontrare nelle pipe di Bassano e tra quelle straniere, nelle pipe turche, francesi e olandesi. La pipa chioggiotta, al contrario, salvo qualche rarissima eccezione, ha sempre tre fori. La ragione di questa scelta effettuata dai pipari può essere stata determinata da esigenze funzionali essendo molto probabile che un unico foro venisse otturato dal tabacco. Non sono mancati, in proposito, spiegazioni anche singolari quantunque suggestive, come quelle di chi vede nella scelta dei tre fori un significato cabalistico o un intento augurale.
A Chioggia, il particolare sembra abbastanza certo, non esistevano fabbriche di ceramica dalle quali possa aver avuto l'indispensabile avvio tecnico la produzione di pipe in terracotta. Attività ceramiche erano invece a Venezia (i famosi bocaleri) e sul Po dove si fabbricavano mattoni ed utensili in ceramica per uso domestico. L'assenza di una attività ceramica a Chioggia (o la mancata documentazione su di essa) ha tenuto vivo il problema proposto da coloro che sostengono che Chioggia e stata una città di fumatori di pipa in terracotta, non di fabbricanti. Al contrario le notizie sull'acquisto di argilla del Po', le testimonianze inoppugnabili dell'attività di due pipari chioggiotti e la sicura localizzazione delle loro botteghe nel contesto del centro storico della città ed infine l'elemento peculiare dei tre fori riscontrabili sempre nella pipa di Chioggia tolgono ogni forza alla posizione dei detrattori della pipa chioggiotta. Un problema tuttavia rimane: a Chioggia come e quando è iniziata la produzione di pipe in terracotta? In proposito si può dire ora, sulla scorta di un esame stratigrafico del terreno, che in pieno Seicento esisteva già una buona produzione. Quanto alle ragioni che avrebbero convinto il Governo della Serenissima a concedere ai chioggiotti il permesso di lavorare argilla per farne pipe viene avanzata l'ipotesi secondo la quale gli stessi maestri boccalari di Venezia avrebbero volentieri delegato a Chioggia la vile incombenza di questa produzione per non sminuire l'importanza ed il valore della loro attività: atteggiamento, questo, non raro da parte dei veneziani e facilmente riscontrabile anche in altri settori dei loro rapporti con le città subalterne. La produzione riscontrabile, lo si è detto, a partire dal Seicento, continuò per oltre tre secoli. Fino alla fine della dominazione veneziana la pipa, fosse ormai consumata o si trattasse di scarto di fornace, veniva usata come materiale di riempimento o di rinforzo degli argini. La legislazione del Magistrato alle Acque, veramente mirabile per questo e per altri aspetti, non derogava davvero in questo. Ed, in effetti, proprio lungo le rive dei canali i ritrovamenti di pipe sono stati sempre abbondanti. La presenza, tra essi di scarti di fornace, costituisce prova sicura della fabbricazione di pipe a Chioggia. Risulta difficile pensare che scarti di fornace venissero trasportati da Venezia per rinforzare argini o colmare avvallamenti.
Felice Nordio, custode della Biblioteca comunale di Chioggia intitolata a G. Sabadino, ha lasciato in un suo manoscritto di memorie e curiosità chioggiotte una interessante descrizione dell'attività dei pipari. Nel documento, che riproduciamo qui sotto, Nordio asserisce che l'industria delle pipe è puramente chioggiotta anche se ai suoi tempi, fine ottocento, questa attività denotava già qualche flessione. In anni precedenti ai suoi era stata però attiva una fabbrica con annessa fornace in Calle Vescovi mentre altri laboratori erano, secondo quanto riferisce il Nordio, un po' dovunque nella città. Un titolare della fabbrica di Calle Vescovi, l'unico a noi noto, fu Angelo Nordio, ricordato come "uomo d'ingegno, abilissimo nel creare sempre nuovi stampi di pipe chioggiotte". L'attività di piparo gli valse onorificenze e diplomi nelle esposizioni di Napoli, Torino e Milano; la quantità delle pipe da lui prodotte doveva essere notevole se di essa si afferma che poteva bastare non solo a Chioggia ma anche per l'Italia e per l'Estero. Il documento di Felice Nordio prosegue illustrando le fasi successive della fabbricazione della pipa: il piparo seduto a cavalcioni di una panca, l'introduzione della creta nello stampo, la pressione dei due perni per formare il fornello ed il tubo portacanne, i fori per mettere in comunicazione canna e fornello, la rifinitura, l'esposizione al sole ed infine la cottura in forno. Un lavoro che il piparo svolgeva in pochi attimi e che faceva pagare un centesimo (siamo alla fine dell'Ottocento) per le pipe ordinarie e due centesimi per quelle più fini, istoriate quasi sempre con figure di animali (gatti, cani, leoni, scimmie, galli) o con busti di uomini e di donne che richiamavano per lo più personaggi famosi. Un centesimo costava la pipa ed altrettanto la canna di legno. Numerosi erano i vecchi che si dedicavano alla preparazione di queste canne forandole con sottilissime trivelle. Chi acquistava una pipa sceglieva con cura anche la "canna" che veniva venduta separatamente. La adattava quindi al foro portacanna rastremandola delicatamente ad una delle estremità.
Industria puramente chioggiotta e` quella delle pipe che dura ancora in picole porposione. Oltre che in apposita fabrica, si poteva vedere a far le pipe anche nelle cali ed anche in piazza alla cale Corona; la fabrica con annessa fornace era in calle Vescovi di proprietà di un certo Angelo Nordio, uomo d'ingenio, abilissimo nel creare sempre nuovi stampi di pipe chioggiote. Ebbe onorificenze e diplomi nelle esposizioni di Napoli, Torino, Milano, e la sua fabricazione era tale da bastare per Chioggia per l'Italia e per l'estero. L'operaio seduto a cavalcioni di una panca poneva lo stampo sul quale si era meso prima un pezo di creta, tra alcune tavolete poste in cima della panca che lo seravano e tenevano streto a mezzo di apposito ordigno, si introduceva un ferro grosso sul buco grande dello stampo e lo si girava, se ne introduceva uno di sotile sul buco piccolo e si girava questo pure; la pipa era fata la si toglieva dallo stampo e con fereto appuntito le si facevano i piccoli buchi che servivano di mettere in comunicazione la parte adata a riempirsi di tabacco con altra che serviva per la canna. Si mettevano quindi su tavole che le si esponevano al sole e quanderano sciute e seche venivano sgrozata. Si pasavano quindi in fornace per esse cote. Gli stampi erano di piombo rachiuso in tavole quadrate; erano divisi in due parti che combaciavano perfetamente tra loro. Si facevano pipe piccole medie e grandi, lisce e rigate, tonde e quadrate, rafiguranti, gati, cani, leoni, simie, gali, busti di uomo e di donna ed anche di personaggi Illustri la creta si toglieva in po. Il preso di una pipa ordinaria era di un centesimo. Quelle più fine costavano due centesimi. Un centesimo l'una costavano la canucia e si potevano vedere lungo la città dei vecchi che tenevano tra mano di fasci giunchi e che li foravano col sotilisime trivele.
Più vecchio di una decina d' anni è il manoscritto "Annotazioni pescherecce" (Chioggia 1891) di Angelo Marella. Il documento riprodotto integralmente, alterna preziose informazioni a dati per la verità poco attendibili se non addirittura improbabili. Sostiene il Marella sulla fede di certo Antonio Malani che il primo piparo di Chioggia sarebbe stato Iseo Nordio, in attività verso il 1820; dopo di lui avrebbe lavorato Carlo Ghisalberti rifornendosi di creta trattata dal greto del Po. C'è inoltre un importante accenno all'uso della verniciatura che sarebbe stato introdotto da un non meglio identificato Pelao (un soprannome) di Compi; tale pratica sarebbe cessata ed in questo il Marella coglie perfettamente l'evoluzione che ha caratterizzato la tecnologia della pipa nel momento in cui si cominciò a trattare l'argilla con il sale. A proposito di quest'ultima soluzione il Marella esprime un giudizio sostanzialmente negativo motivandola esclusivamente con la necessità da parte dei pipari di ottenere un prodotto più economico e che peraltro "dopo qualche giorno puzzava e ciò a causa dell'acqua del mare". In realtà la pipa trattata col sale risultava maggiormente porosa e bianca. Lo stesso documento ci informa dell'esistenza di sei fabbriche: Carlo Bao (1600), una seconda sua fabbrica (1500), un certo Natale (400), Emilio (800), Angelo (4000). Patronato S. Domenico, scritta attestata dai reperti (3000) per un totale di 11300 pipe al giorno e, stando al computo dello stesso Marella di 4068000 l'anno. Dati questi assolutamente improbabili che danno tuttavia un'idea attività fino ai primi del '900 veramente notevole, dei pipari chioggiotti.
Se è abbastanza facile fissare il termine superiore della fabbricazione della pipa chioggiotta (fine della 2° guerra mondiale), stabilire cioe' quando questa fabbricazione venne a cessare, risulta assai complicato individuare con precisione il suo termine inferiore. Da quando c'è la pipa chioggiotta ? come si sono venuti evolvendo nella forma i modelli inizialmente scelti ? o ancora, quali influenze può aver subito e anche quali può aver esercitato, in un settore produttivo dove copiare non era affatto difficile? Il problema della datazione delle pipe chioggiotte, se affidato ad elementi formali, lo abbiamo già visto, porta a risultati improbabili. La persistenza di certe raffigurazioni, le modalità stesse della loro scelta per cui il piparo poteva essere interessato dal doccione gotico o dalla maniglia barocca, impediscono qualsiasi datazione sia in termini assoluti (inizio della fabbricazione) sia in termini relativi (evoluzione formale di un particolare modello). La strada da seguire non è quindi quella di una valutazione formale e tanto meno quella dell'analisi comparativa con altre pipe in terracotta provenienti da centri di produzione italiani o stranieri. La pipa turca o l'olandese hanno in qualche modo influenzato l'evoluzione della pipa chioggiotta o ne hanno addirittura determinato la nascita? Si tratta di interrogativi affascinanti, destinati però a rimanere tali data l'estrema rapidità degli scambi commerciali ed il proliferare nei vari centri di produzione di forme e modelli sempre nuovi, in qualche caso dovuti all'inventiva di un maestro locale ed in molti altri probabilmente imitati. Scartati quindi il criterio della valutazione formale e quello dell'analisi comparativa rimangono, come elementi ai quali ancorare il discorso sulla datazione l'introduzione del tabacco in Europa e la possibilità emersa per quanto si riferisce a Chioggia solo negli ultimi tempi, delI' esame stratigrafico del terreno. Il primo elemento consente di stabilire un termine prima del quale non può esserci stata produzione di pipe. A voler essere rigorosi questa può esser iniziata solo dopo il 1500. Ma il termine è suscettibile di qualche variazione dal momento che la pipa rappresenta uno strumento già assai raffinato. A corroborare questa prima indicazione cronologica sono intervenuti per Chioggia i dati di una ricerca archeologica resa possibile dai grandi lavori di scavo per la posa della fognatura generale. In vari strati del terreno, in qualche caso a profondità considerevole, sono stati trovati resti di pipe o anche pipe intere. Questi ritrovamenti hanno permesso per la contemporanea presenza di numerosi reperti ceramici, databili con buona approssimazione, di fissare alcuni punti fermi nella vicenda cronologica della pipa chioggiotta. In qualche caso è intervenuto in maniera diretta l'elemento cronologico indubitabile, come si vede per un reperto che reca incisa la data 1655. Nel Seicento quindi la produzione era già avviata e da questa indicazione non discorda molto quell'altra relativa all'introduzione del tabacco in Europa. Più complesso si fa invece il discorso riguardante l'evoluzione di un determinato modello. Le varianti sul tema sono numerose ma non sempre consentono di determinare la successione delle varie trasformazioni in modo da stabilire una serie completa. Per questo particolare tipo di datazione è di aiuto l'analisi dei procedimenti tecnici adottati dai pipari. Un primo periodo, che può concludersi intorno alla meta del Settecento, presenta pipe in terra rossa dalle forme assai semplici, raramente ravvivate da qualche piccolo fregio. Un secondo periodo della durata di circa un secolo ha pipe di terra rossa nelle quali compaiono sempre più spesso i fregi e talvolta le raffigurazioni animali ed umane. A questo periodo appartiene sicuramente anche la pipa smaltata. Il terzo periodo, che inizia alla meta dell'Ottocento, vede la fine della lavorazione a smalto alla quale subentra quella della terra trattata con sale, che le conferisce il caratteristico colore giallo-avorio. Le pipe, che all'inizio di quest'ultimo periodo raggiungono l'apice della perfezione tecnica e della funzionalità, sono ricche di fregi e di raffigurazioni, che non di rado hanno la qualità di piccole sculture. Pur persistendo le caratteristiche tecniche, a partire dal Novecento, si nota una sorta di involuzione. I modelli tradiscono approssimazione e una certa frettolosità tanto che le loro rifiniture non sono più perfette. Inizia a questo punto, dopo tre secoli di produzione in continuo progresso tecnico, la decadenza della pipa chioggiotta.
Bibliografia
A. P. BASTIEN, La Pipe, Editions Payot, Paris 1973
G. BOZZINI, La mia pipa, Milano 1977
C. CASARIN, M. BRUGNERA, Le chioggiotte figurate, sta in "Il club della pipa" N. 3 1972
G. RAMAZZOTTI, Introduzione alla pipa, Milano 1967
G. SAVINELLI, La pipa e i suoi cocktail, Genova 1974
D. TONON, Scoperto il cimitero delle pipe, sta in "Il club della pipa" N. 8/9 1971
LA PIPA CHIOGGIOTTA
Giorgio Boscolo B. S. Giovanni 4/e C H I O G G I A
Tip.Reg. Veneta Conselve PD 1980
Pubblicazioni successive: Pipe e Pipari a Chioggia di Alberto Naccaried. T&G Edizioni 1997 v.Levà,34 35026 Conselve PD Tel/Fax 049 5384097 L.it 30.000
La pipa chioggiotta e altre pipe in terracotta di Giorgio Boscolo Femek
ed. "IL LEGGIO" Libreria Editrice Sottomarina Chioggia (VE) www.illeggio.com
Settembre 2000 L.it 70.000