19 - Graffita cinquecentesca e seicentesca a punta sottile

Molti dei motivi presenti sulle graffite cinquecentesche venete a fondo ribassato trovano tali puntuali riferimenti nelle tipologie a punta da far ritenere si trattasse, almeno inizialmente, di diversi aspetti dell’opera degli stessi decoratori. I vasellami a fondo ribassato dovevano quindi costituire una sorta di produzione di pregio in cui la componente cromatica - si vedano casi in cui l’asporto è modestissimo e sottoposto ad una accurata lisciatura - risultava esaltata pur privando le superfici quasi di ogni effetto chiaroscurale. I paralleli tra i due insiemi si vanno rarefacendo al passaggio dal XVI al XVII secolo e paiono assenti in epoca successiva sottolineando, con la sopravvivenza delle sole tipologie a punta il progressivo scadimento della ceramica graffita in questa regione. I motivi decorativi sono sempre i soliti, caratterizzati da un segno sempre più corrivo e dalla solita bicromia a cui sempre più spesso si aggiunge l’azzurro. Si può riconoscere il passaggio dai corti rametti variamente composti, e desinenti in palmette o frutti allungati, della seconda metà del XVI secolo - trovati un po’ in tutto il Veneto ed a Mantova - alle palmette fessurate successive, la presenza di foglie di prezzemolo desunte dalla coeva maiolica berrettina, la trasformazione in pieno Seicento del rayonnant geometrico in una rozza margherita o in un asterisco, identificare esili nodi di Salomone od intrecci, uccelletti, cani od altri animali, stemmi ecc. a cui si aggiungo­no stilizzati ritratti e figure intere con le quali si potrebbero tracciare paralleli con gli “arlecchini” di Montelupo. Per quanto detto in precedenza, la datazione suggerita dal butto di Oderzo 125  risulta pienamente accettabile con attestazioni delle fasi più tarde e corrive, per il momento ancora da discutere ed approfondire, nel XVII 126 ed anche nel XVIII secolo 127, e per la fase matura al pieno XVI secolo, trovando parziale conforto nel frammento di scodella del Museo L. Bailo di Treviso con la data 1589 128. Scarti di fornace relativi a questa tipologia provengono da Padova, da Bassano del Grappa, dalla Laguna, da Rovigo e Badia Polesine 129. E’ probabilmente quest’ultima località a sfruttare al meglio la propria posizione geografica una volta scomparso il centro produttivo di Legnago. Le fornaci badiesi, infatti, potevano inviare i propri prodotti fino a Verona lungo l’Adige e, attraverso l’Adigetto e la fossa di Polesella, arrivare al Po. La presenza a Mantova di una nutrita serie di frammenti con cavalli al passo o con altri motivi testimoniati a Badia Polesine depone a favore di una circolazione assai più ampia di quanto si ritenesse. 

Per l’area emiliano-romagnola dai contributi di alcuni studiosi è possibile farsi l’idea di una serie di botteghe ben distribuite sub territorio e di un consumo diffuso dei materiali ceramici tra i quali, però, andavano conquistando una crescente importanza le tipologie non graffite 130. S. Gebichi ricorda come esempi di continuità produttiva i centri di Carpi (MO) e San Giovanni in Persiceto (BO) attivi anche nel XVII secolo a cui se ne aggiungono altri documentati con sicurezza dagli scarti come la stessa Bologna, Lugo (RA) ed Argenta (FE) 131. Un aspetto particolare legato al Bolognese e, in minor misura, al Modenese è costituito dalla presenza di ceramiche decorate a punta in cui la stecca viene utilizzata al posto del pennello per creare un effetto di ombreggiatura  132

I motivi decorativi sono in genere di tipo vegetale sia fortemente geometricizzati - margherite centrali, asterischi ecc. - sia decisamente naturalistici con cespi d’erbe guarniti di tulipani, e peonie, forse ispirati da un lato alle maiobiche di Iznik - le maioliche di Damasco riportate nella Gabella Grossa di Bologna - e con elementi di collegamento con le embricature delle produzioni ferraresi del secolo precedente. Oltre all’usuale bicromia giallo ferraccia, verde ramina compare occasionalmente, prima della metà del secolo, l’azzurro-cobalto. Il sottoinsieme, tipico della prima metà del XVII secolo, pare essersi esaurito nel terzo quarto dello stesso e non è sconosciuto nel Veneto in quanto un esemplare di bottiglia quadrata proviene da Este (Pd) ed al­tro materiale inedito da Montagnana 133  ed esistono paralleli con la produzione di Badia Pobesin 134. Per la Lombardia, S. NEPOTI ha sottolineato i paralleli esistenti tra gli scarti di fornace provenienti da Mantova e da Pavia anche per le graffite a punta 135  con decori di tipo geometrico semplificati rispetto agli intrecci od ai nodi di moda in precedenza nel Veneto e gli onnipresenti uccelli. Altri motivi attestati soprattutto nel Ducato di Mantova sono quelli che parrebbero gigli sia in una versione con stelo rigido e petali frangiati molto morbidi, sia con la corolla trasformata in una specie di coppa - cosiddetta “cabenduba” - fino a mutarsi in un vero e proprio simbolo mistico 136. Esistono anche dei busti-ritratto direttamente riconducibili alle realizzazioni rinascimentali 137  attraverso il solito processo di semplificazione del segno assimilabile, in alcuni casi molto avanzati, a quello che porta alla realizzazione delle caricature. Per la gamma cromatica, NEPOTI ricorda, per la seconda metà del XVI secolo, la squillante quadricromia in giallo-ferraccia, verde-ramina, viola di manganese ed azzurro-cobalto a cui si aggiungono alcune anticipazioni costituite da esemplari di buona mano, e di eccellente effetto, con i parchi tocchi di giallo-ferraccia e verde-ramina destinati a diventare canonici nel secolo successivo.